Fibrosi polmonare idiopatica, nuovi dati sui benefici del pirfenidone
Uno studio greco, in ambito real-life, ha evidenziato i benefici del farmaco in una coorte dove erano inclusi pazienti con malattia grave e comorbilità, a differenza di quanto avviene nei trial farmaceutici
Creta – I pazienti affetti da fibrosi polmonare idiopatica trattati con pirfenidone hanno mostrato un aumento del tasso di sopravvivenza a 3 anni rispetto a quelli trattati senza agenti antifibrotici, e il beneficio è stato notevole: il 30% in più. Il dato è ancora più interessante perché proviene da uno studio real-life (nel mondo reale), pubblicato recentemente sulla rivista BMC Pulmonary Medicine da un team di studiosi del Dipartimento di Medicina Respiratoria presso l’Ospedale Universitario di Heraklion, sull’isola greca di Creta. L’effetto del pirfenidone sulla sopravvivenza è stato rilevante, se si tiene conto che nella coorte sono stati inclusi pazienti con malattia grave e comorbilità, a differenza di quanto avviene nei trial farmaceutici.
La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è una malattia rara di eziologia sconosciuta, caratterizzata da fibrosi progressiva e irreversibile dell’interstizio polmonare. La prevalenza stimata dell’IPF, in Europa e Nord America, va dai 3 ai 9 casi su 100.000 persone. Il pirfenidone è un farmaco somministrato per via orale con effetti antifibrotici, anti-infiammatori e antiossidanti che è stato approvato in Europa nel 2011 e negli Stati Uniti nel 2014 per il trattamento dell’IPF.
Lo studio, osservazionale e retrospettivo, ha valutato 82 pazienti IPF con un’età media di 74,9 anni, in cura nel centro di Creta tra il 2011 e il 2016. Il 64,7% erano fumatori o ex fumatori, che hanno dichiarato di consumare in media 43,5 pacchetti all’anno. La capacità vitale forzata (FVC) media era dell’81,5%, e l’8,5% dei pazienti aveva una malattia avanzata. La comorbilità più comune era ipertensione sistemica (64%), seguita da malattia da reflusso gastroesofageo (47%), cardiopatia ischemica (30%), insufficienza cardiaca (28%), fibrosi polmonare combinata a enfisema (21%), ipertensione polmonare (13%) e tumore ai polmoni (2%). Questi pazienti erano naïve al trattamento e sono stati sottoposti a terapia con 2.403 mg al giorno di pirfenidone per almeno 3 mesi.
I ricercatori, senza escludere i pazienti che avevano interrotto il trattamento per diverse ragioni, hanno osservato un alto tasso di sopravvivenza a 3 anni: il 73%. L’analisi finale ha messo a confronto i dati di sopravvivenza relativi a 75 pazienti di questa coorte con quelli di 136 pazienti con IPF di un centro inglese, il Royal Brompton Hospital, non trattati con pirfenidone. In seguito all’esclusione dei casi gravi (DLCO minore del 30%), la sopravvivenza nella coorte greca si è dimostrata migliore rispetto a quella inglese, e anche dopo un aggiustamento dell’analisi per età, sesso e capacità vitale forzata, è rimasta comunque più alta.
Il profilo di sicurezza del pirfenidone è risultato simile rispetto ai dati pubblicati in precedenza, ed è stato registrato un tasso inferiore di interruzione del trattamento a causa di reazioni di fotosensibilità. Un attento counselling e una gestione dei possibili effetti avversi – hanno consigliato gli studiosi greci – possono ridurre la necessità che i pazienti interrompano il trattamento con pirfenidone. Per valutare l’effetto del farmaco sulla progressione della malattia saranno comunque necessari ulteriori studi in ambito real-life, con un numero maggiore di quei pazienti la cui inclusione nei trial farmaceutici è improbabile.
FONTE: OMAR